Visto che oggi sono KO per una distruttiva seduta dal dentista, come qualcuno di voi ha letto sul mio profilo Facebook, passo a qualche argomento un po’ meno drammatico.
Quando iniziai a scrivere, ero convinto di avere il “pieno possesso” della lingua italiana grazie ai miei studi sulla grammatica. Ecco, dopo poche pagine capii subito che mi sbagliavo. Non ricordo più le volte che sono andato a rivedere la grammatica, aperto il dizionario, consultato un vocabolo. Infinite. Oggi, dopo 8 libri scritti, ho forse più dimestichezza, ma il Devoto Oli rimane sempre il mio fidato compagno.
A volte, tuttavia, il dizionario non basta e mi trovo costretto a cercare in rete. Spesso finisco nel sito dell’Accademia della Crusca, anche se tento di evitarlo. Perché inevitabilmente poi ci trascorro ore e ore dimenticandomi persino il motivo per cui ci ero arrivato.
Ma su quel sito si trovano un sacco di cose interessanti e divertenti. Come il famosissimo “A me mi“, che faceva alzare la matitona rossa dell’insegnante di italiano come la scure di un boia.
Giovanni Nencioni, ne “La Crusca per Voi Vol1”, afferma che:
[…] Quel costrutto che scandalizza molti come un volgare errore di grammatica e che pochi tuttavia riescono ad evitare quando parlano: “A me mi pare…”, “A me mi piace…” ecc. Sulla scorta di certe grammatiche i più lo dichiarano grecamente un pleonasmo, cioè uno di quei riempitivi o ridondanze o ripetizioni a cui l’enfasi del parlante si sente trascinata.
E anche:
E infatti è in bocca alla vecchia cui Renzo chiede consiglio sulla strada per Gorgonzola che Manzoni, nel cap. XVI dei Promessi Sposi, mette la battuta “A me mi par di sì”. A guardar bene, però, non si tratta di una ripetizione, la quale implica identità con l’elemento ripetuto, né di un riempitivo, il quale implica superfluità e inutilità. Qui si avverte bene che il primo pronome, tonico, ha più forza del secondo, atono, quindi ha un valore diverso. È sempre, certo, legato al verbo parere, ma estratto dalla frase e preposto ad essa, come “tema” del prossimo enunciato; equivale dunque a “quanto a me, per quanto ne so io” e quindi contiene maggiore informazione del semplice complemento di termine che lo segue (mi).
Capitemi, se lo dice Manzoni… Premetto che io ADORO l’a_me_mi.
Ma se lo scrivessi in un libro l’editore mi strapperebbe il contratto in faccia, nella migliore delle ipotesi. Oppure avrei decine di lettori (sì, avete capito di quale razza) pronti a spalarmi quintali di offese addosso.
Perché a me mi non si dice. Anche se a me mi piace un sacco.
Ma dalla disperazione, dato che tanti incappavano in questa cosa, non avevano tolto il fatto che fosse un errore?
Penso che Manzoni abbia usato quell’espressione per rendere più verosimile il personaggio della vecchia: una persona con scarse conoscenze e una mancanza di istruzione era portata a fare errori, a discorrere alla buona usando un linguaggio popolare.
per non parlare dell’ A TE TI!!
Sai che mi è capitato anche a me di visitare ogni tanto quel sito? Parecchie cose mi sembrano assurde, sono sincera!
dai non ci pensare Francé.se può risollevarti un po il 25 maggio devo andare a farmi una cura alle carie.e non é la prima volta.nn ti preoccupare che da domani gia ti é passato tutto. 😉
se la vogliamo dire tutta anche “gli studi SULLA grammatica” non è una frase corretta! tiè!
sì, che due balle, lo so che anche tu mi vuoi bene! 😉
Il problema in questo caso non è il sito della Crusca (non sempre impeccabile, c’è da dire) ma quelle maestrine che ci hanno inculcato regole inventate o lette su qualche oscura grammatica dell’800 giustamente dimenticata.