Per non dimenticare

Il blog è sempre in “slow motion” e vi rimarrà fino ad agosto. Ma non potevo oggi non segnalarvi questo post sul sito di Licia Troisi.

Per non dimenticare.

Il cattivo gusto della frutta

Siamo alla frutta. Anche nella pubblicità. Sono l’unico che trova questo spot delirante e off topic? Solo per il gusto di… far girare la testa allo spettatore annoiato? Non so, ma davvero, a volte mi chiedo se.

 

httpvh://www.youtube.com/watch?v=6sh4krlH7F8

Qualche precisazione

Tramonto a mezzanotteTramonto a mezzanotte. E’ quello che ho visto a Helsinki, l’altro giorno. Piccoli regali della natura, che capita di rado di vedere.

Il tramonto, il momento in cui la luce lascia il passo al buio. Attimi a volte anche di nostalgia, perché il tramonto rappresenta comunque una fine.

Stasera, tornato a casa, ho letto un po’ di commenti a giro sulla rete in merito alla chiusura della Asengard Edizioni. Be’, in tutta onestà, rimango sempre della mia opinione. La rete parla, parla e parla. E parla troppo, spesso con pochi fatti, di rado con qualche azione veramente esemplare e utile.

Perché, in tutta onestà, credo che la solidarietà sia da apprezzare, così come le centinaia di post di dispiacere. Sì, un bel gesto, per quanto inutile. Non è una novità che l’editoria sia un settore difficile, che passi momenti di crisi, a seconda delle oscillazioni del mercato. E che questo fenomeno sia ancora più evidente per gli editori che si specializzano in un determinato genere. Come Asengard nel fantastico, la Gargoyle per l’horror. Una decisione difficile, spesso dettata dalla volontà di costruire una realtà distinta e ben visibile, per non finire nel maremagnum della libreria affogato dalle centinaia di pubblicazioni dei grandi editori.

Cosa fa la differenza, dunque? Il potere e il denaro, come sempre. E’ quello che spinge la rete distributiva, essenziale per non scomparire. E’ quello che impone il budget di promozione, che di certo non è qualche articolo apparso nei vari blog dei network. La vera promozione costa svariate migliaia di euro.

Un piccolo editore non può permetterselo. E’ già una scommetta stampare un libro, figuriamoci se può accollarsi altre spese. Questa, nei minimi termini, la motivazione di un crollo.

Adesso, i lettori che si dispiacciono. Bene, non basta. Perché dopo la Asengard sulla quale ho letto tanti bei commenti, toccherà alla prossima casa editrice di genere, ammesso che non cambi strategia e diventi a pagamento. Le parole sono belle a sentirsi, ma non cambiano la situazione. Così come non cambiano le collette, soluzioni tampone del tutti inutili.

Serve la volontà di voler cambiare, e c’è una sola strada. Il passaparola, che avviene dopo aver acquistato il libro. Dopo averlo consigliato. Dopo averne parlato. Questo, a mio avviso, è l’unico modo per salvare le realtà indipendenti.

Ho letto addirittura colpevolizzare l’editoria a pagamento. Ecco, mi sembra una caccia alle streghe, e sapete bene cosa penso in merito. Tutto il male possibile. Ma la colpa non è loro. La loro unica influenza è creare dei piccoli cerchi viziosi di autori che si spalleggiano e si comprano i libri a vicenda. Nulla di più. Granelli sparsi in un deserto. Non è editoria, non sono i veri numeri, quelli che contano. Sono persone che si scambiano favori, e che probabilmente mai avrebbero letto i titoli di quell’editore.

Tutto qua? Certo che no, a essere onesti erodono il mercato. Si presentano alle fiere, togliendo visibilità agli editori free. Promettono mari e monti, spingendo i possibili “clienti” all’acquisto di altri libri della loro collana. Sì, rompono le scatole, indubbiamente. Poi, ovvio, ci sono i lettori che la pensano diversamente, come me, come scrissi qui.

Quindi? Quindi si chiude il cerchio, si torna al punto di partenza. Purtroppo, in rete, ho letto centinaia di articoli di lettori indignati per aver letto un brutto libro di genere fantastico. Pochi, pochissimi, in questa guerra al massacro, esaltano quelli che invece hanno reputato di qualità. Sì, se ne ricordano, ma quando è troppo tardi.

Che peccato.

Anonimo e pseudonimo

Ieri sera, dopo cena, stavo parlando su skype con una mia amica proprio di un tema abbastanza caldo in questi giorni: internet, web 2.0, social ma soprattutto anonimato e pseudonimo.

Ok, non facciamo finta di cadere dalle nuvole. E’ sempre stato così, fin dalla nascita di internet. Il fenomeno si è solo accentuato – o è diventato più evidente – con la nascita del web 2.0 e il propagarsi dei social network: dai blog a facebook, passando per i forum che ormai sono una realtà in via di estinzione.

Poi, proprio in questi giorni, stavo ragionando su quanti scrittori abbiano una doppia identità su internet, ma anche editorialmente parlando con il famoso pseudonimo. Tanti, troppi a mio avviso. I motivi sono i più disparati. C’è chi è stato costretto dall’editore, perché lo pseudonimo inglese avrebbe venduto di più, c’è chi si è sdoppiato per essere credibile cambiando genere di romanzo, magari passando dall’horror a quello per bambini. Perché, naturalmente, non si vuole destabilizzare il “parco lettori”, affezionato a una particolare linea editoriale, ma si vogliono tentare anche altre vie (per motivi meramente economici oppure per un desiderio a quanto pare inconfessabile). Una politica intelligente, a livello marketing, non c’è che dire. Mi chiedo solo perché io non ci abbia pensato prima. Ma il motivo forse è più semplice di quanto si voglia credere: non ho avuto problemi a pubblicare il mio primo libro con il mio vero nome, non ho avuto problemi in seguito a proporre libri che fossero molto diversi gli uni dagli altri, sia a livello di target sia a livello di genere. Perché sì, se la più grande qualità di un artista è quella di reinventarsi, al contempo è una lama a doppio taglio. Quando pubblicai Gothica sapevo che mi rivolgevo a un pubblico nuovo, e chi aveva amato Estasia o Prodigium forse sarebbe stato deluso. E così è stato, anche se in realtà poi ho “conosciuto” un’altra fetta di lettori. Ancor più con il libro Mad for Madonna, dove cambiavo totalmente genere, rivolgendomi anche a chi amava poco la lettura ma avrebbe comprato il libro solo per aggiungere un cimelio nella collezione madonnara.

Poi. C’è chi dice che molti si tengono stretto il nome per puro narcisismo. In pochi, esclusi i deficienti, credono nella scrittura come fonte di reddito o mezzo per diventare ricchi. Ecco perché nel mio precedente post parlavo di Troisi ed effetto velina. Perché il successo di Licia ha dimostrato che la fama è raggiungibile anche se non siamo attori di Hollywood, madre natura non ci ha dotato di una voce stupenda, ma siamo semplicemente “il vicino della porta accanto che diventa famoso”. Persone normalissime che hanno successo, certo, come se questa fosse la cosa più semplice del mondo, un meccanismo ovvio e oliato. Manco per sogno, ovviamente. Rimanendo nell’esempio, la Mondadori non ha più ripetuto quel successo, semplicemente perché non esiste la ricetta. E, spesso e volentieri, neppure con l’import di prodotti stranieri, che hanno venduto meno degli italiani.

Inoltre ci sono coloro che sono costretti a utilizzare uno pseudonimo perché non possono esporsi, magari per la professione che svolgono. E li capisco, spesso uno pseudonimo sarebbe servito anche a me, avrei evitato situazioni imbarazzanti. D’altronde, con gli anni, ho imparato a fregarmene. Dicerie, commenti, allusioni. E critiche feroci su internet, quella che chiamano ironia ma che spesso sfocia nell’offesa e vilipendio. Perché? Sapete, ho perso il conto delle volte che mi hanno dato per “morto” editorialmente parlando. “Fra un anno sarai scomparso”, oppure i mille complotti che stanno dietro al mio cambio di genere ed editore. La realtà è molto più semplice: ho pubblicato 9 libri, a ogni uscita i miei lettori raddoppiano, a fine anno pubblico con il più grande editore per ragazzi in Italia, Piemme. Id est.

Poi, oltre a questo c’è l’esagerazione dell’estremismo. Leggetevi questo articolo, perché è triste.

 

 

Considerazioni

Sono stato in America. Ho vissuto per una settimana a New York. Rimasi sorpreso, mi immaginavo che NY fosse la culla della modernità, il futuro. E invece la trovai al di sotto delle europee Londra e Parigi. Ma mi piacque. L’atmosfera, le persone, l’aria che si respirava.

L’America in fondo mi piace, e vorrei tornarci per vedere altre città. Però, così come scrissi a quel tempo, c’è qualcosa che non continuo a capire. Qualcosa che è troppo distante dal nostro modo di essere e di vedere le cose. Perché, lo capisco, il dolore per ciò che è successo dopo l’11 settembre è una ferita che non si rimarginerà più. La pagina nera nella storia degli USA, anzi dell’umanità. Ma continuo a non capire. Continuo a rimanere perplesso quando vedo festeggiamenti, gioia, colori, musica. Come se l’uccisione di Bin Laden fosse una grande festa, una nuova Liberazione, la fine del terrorismo. Ammesso che tutto ciò che ci propinano i media e il governo americano sia vero. Amesso.

Ma se anche fosse, non è affatto una Liberazione. E’ solo l’ultimo tassello della tragedia dell’11 settembre. L’ultima pagina di un libro nero, quello che si chiama terrorismo. E che, purtroppo, non è composto da un solo volume.

PS: IN QUESTO LINK, per chi ha tempo e voglia, c’è un sondaggio.

Notizie che sconcertano

E’ mercoledì, metà settimana, eppure le notizie sconcertanti non mancano affatto.

Così, tanto per darsi un’idea.

Divertiamoci con l’alto tasso di intelligenza di Roberto De  Mattei, vicepresidente del CNR che dovrebbe essere il consiglio Nazionale  delle ricerche, invece sembra un baluardo dell’idiozia e del regresso.

Passiamo poi al caso Ruby, che sta diventando una farsa, e la solita pubblicità del nostro paese all’estero dove vince sempre il compravoti e lo squallore. Complimenti.

Finiamo con la consueta tragedia, che leggiamo qui.

Per oggi basta così, direi.

Informazione

Non è una novità, certo, ma ultimamente sono un po’ sconcertato dal tipo di informazione che forniscono i media.

L’ultimo caso, divertente e allo stesso tempo inquietante, è quello della finta donna aquilana. Ora, due piccole cose, perché le parole si sprecano e neppure ho voglia.

A) è assurdo che un’emittente televisiva proponga delle storie false e recitate spacciandole per vere. E’ disonesto, è un reato. Così come tutti gli altri progettati a tavolino, Grande Fratello compreso, dove  anche se il programma è demenziale spinge i ragazzi a spendere soldi nel televoto. E spendono su storie che hanno un copione. Mi chiedo perché nessuno intervenga.

B) Finché i telespettatori si lobotomizzano il cervello con il Grande Fratello, pace, certo. Ma quando si porta in TV una donna che finge di essere dell’Aquila, osanna il miracolo berlusconiano… be’, il reato è più sottile. Perché strumentalizzato e politicizzato. E perché si scherza su una tragedia.

Poi. Come sapete leggo Repubblica, perché “mi pare” uno dei quotidiani più onesti. Fino a un certo punto, s’intende, perché anche qui spesso noto una vena politica chiara che rende l’informazione meno oggettiva. Quando leggo un’informazione, non mi interessa un commento personale. Voglio conoscere i fatti e basta, ce la faccio da solo a farmi un’idea dell’accaduto.

Poi. Ultimamente non si capisce più una cippa, ovunque si guardi o legga informazione. Certo, voluta, non sempre dagli stessi media. Non si capisce un tubo sulla guerra in Libia, chi fa cosa, cosa fa quello, cosa risponde quell’altro. Nato o non Nato, che vuole la Francia, che fanno gli altri. Confusione totale. Peggio ancora in Giappone. Reattore non reattore, radiazioni basse, no radiazioni alte.

Che bella informazione, non c’è che dire.