Vecchiezza

In Estasia – Il Sigillo del Triadema, benché sia un romanzo per ragazzi, ho trattato la paura di invecchiare, in quello che ho chiamato il Mondo dei Miti. Un luogo immaginario, popolato da individui il cui unico scopo era quello di rallentare il processo di invecchiamento, raggiungere un’eterna bellezza, combattere i segni del tempo come se fossero i più grandi nemici.

Lo stesso tema è stato ripreso in Prodigium, romanzo young adults, con l’eccentrica figura di Naeel, per poi farne una cover nella Roxanne del racconto Anobium. Una divoratrice di uomini che si guarda nello “specchio delle mie brame” mentre i tarli del tempo decompongono poco a poco l’immagine della giovinezza.

Argomento poi affrontato in termini più adulta con Gothica, passando da quella che poteva sembrare una semplice retorica alla realtà dei giorni nostri. La mutazione genetica, la clonazione e la follia del movimento di Rael spinto dall’insano ideale di raggiungere l’immortalità.

Certo, la paura di invecchiare e di morire è insita in ogni essere umano, a prescindere dalla sua personalità o estrazione sociale. È la mia stessa paura, condizionata da una società patinata che ti spinge a trovare una sorta di pace interiore nella felicità di gioire della propria immagine riflessa.

Bellezza, quindi. Quella che tutti noi cerchiamo di ottenere ogni giorno. A volte per piacere a se stessi, a volte per ottenere il compiacimento altrui. Il terrore di morire, di soffrire, di spegnere definitivamente quell’interruttore quando abbiamo realizzato solo una minima parte dei nostri propositi, perché durante gli anni gli obiettivi sono cambiati e si sono ammassati senza un preciso motivo.

Vogliamo piacere agli altri per piacere a noi stessi. Vogliamo essere apprezzati. Crediamo che questa sia l’unica cura per allontanare il morbo dell’insicurezza che affligge ciascuno di noi.

Ma è pura normalità finché non diventa ossessione. Perché quando il desiderio legittimo di star bene con se stessi si trasforma nella follia del non voler accettare il trascorrere del tempo, tutto assume una sfumatura ridicola.

Pena. E’ quella che adesso provo per il nostro premier. No, non c’è più rabbia. C’è solo compassione per un uomo di quasi 75 anni, che ha ottenuto tanto dalla vita, eppure si ostina a non voler calare il sipario. A tirarsi le rughe, a impiantarsi nuovi capelli, ad apparire attraente con battute del tutto fuori luogo. Finché non arriva la noia, subordinata al denaro, che ti permette di comprare delle minorenni per dimostrare ancora una volta che, arrivato alla soglia dell’ottavo decennio di vita, sei ancora un uomo virile, che gli attributi funzionano, che il sesso non finisce con l’andropausa e che il potere può vincere la natura.

Sì, è solo compassione.

8 Commenti

  1. E io questa pena la capisco, magari posso anche condividerla. Ma potrei fermarmi qui se quest’uomo non avesse in mano i destini dell’Italia. Invece ce li ha, e nel suo delirio sta trascinando nel baratro anche noi. Ora, magari lui ormai è malato, ha perso il contatto con la realtà; allora siano le persone che gli stanno accanto che facciano quel che è necessario per evitare che la rovina di un uomo diventi la rovina di un intero paese.

  2. @licia – Naturale che condivido, come ho scritto in miriadi di post addietro.
    Però non so, stamani quando leggevo gli articoli su Repubblica ho provato solo pena.
    Per lui stavolta, non solo per noi.

  3. No, certo, capisco. Uno costretto a pagare per sentirsi ancora giovane, per altro contornandosi di ragazze che appena gira le spalle lo chiamano vecchio e si propongono di rubargli in casa, non è certo una persona felice

  4. Ma questa ricerca dell’eterna giovinezza, della bellezza incontaminata, non è forse staticità, il restare immutato delle cose? Non è che dietro questa ricerca si nasconde la paura del vivere, del cambiamento?
    Comprendo la compassione rivolta a quell’uomo. Compassione e tristezza, perché dietro tutti quei sorrisi e quelle luci c’è vuoto e falsità.

  5. Ovviamente il post non vuole giustificare il premier, malato stanco o vecchio che sia. Vuole solo dire che, dopo 364 giorni di rabbia, nel 365esimo ho provato pena.

    @M.T. – Forse, in un certo senso. Credo che sia eterna insoddisfazione: ci accorgiamo che il tempo passa, ci domandiamo se abbiamo vissuto appieno la nostra adolescenza, maturità. Perché sappiamo che non possiamo tornare indietro, lo specchio ce lo ricorda, Quindi, anche paura del vivere, se questa deriva da tabù o inibizioni che non ci hanno permesso di essere se stessi. Rimorsi e rimpianti, che ci spingono a sognare l’eternità per poter vivere un ciclo continuo e illuderci che possiamo sempre migliorarlo. Fino alla perfezione, impossibile come l’eternità stessa.

    Troppo filosofici oggi 🙂

  6. Io invece di pena non ne provo, sarà perchè da buon piemontese sono un po’ “freddino” di carattere e la quantità di “pena” a disposizione l’ho già sprecata con i licenziati ultraquarantenni delle fabbriche piemontesi. 😉

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