Anonimo e pseudonimo

Ieri sera, dopo cena, stavo parlando su skype con una mia amica proprio di un tema abbastanza caldo in questi giorni: internet, web 2.0, social ma soprattutto anonimato e pseudonimo.

Ok, non facciamo finta di cadere dalle nuvole. E’ sempre stato così, fin dalla nascita di internet. Il fenomeno si è solo accentuato – o è diventato più evidente – con la nascita del web 2.0 e il propagarsi dei social network: dai blog a facebook, passando per i forum che ormai sono una realtà in via di estinzione.

Poi, proprio in questi giorni, stavo ragionando su quanti scrittori abbiano una doppia identità su internet, ma anche editorialmente parlando con il famoso pseudonimo. Tanti, troppi a mio avviso. I motivi sono i più disparati. C’è chi è stato costretto dall’editore, perché lo pseudonimo inglese avrebbe venduto di più, c’è chi si è sdoppiato per essere credibile cambiando genere di romanzo, magari passando dall’horror a quello per bambini. Perché, naturalmente, non si vuole destabilizzare il “parco lettori”, affezionato a una particolare linea editoriale, ma si vogliono tentare anche altre vie (per motivi meramente economici oppure per un desiderio a quanto pare inconfessabile). Una politica intelligente, a livello marketing, non c’è che dire. Mi chiedo solo perché io non ci abbia pensato prima. Ma il motivo forse è più semplice di quanto si voglia credere: non ho avuto problemi a pubblicare il mio primo libro con il mio vero nome, non ho avuto problemi in seguito a proporre libri che fossero molto diversi gli uni dagli altri, sia a livello di target sia a livello di genere. Perché sì, se la più grande qualità di un artista è quella di reinventarsi, al contempo è una lama a doppio taglio. Quando pubblicai Gothica sapevo che mi rivolgevo a un pubblico nuovo, e chi aveva amato Estasia o Prodigium forse sarebbe stato deluso. E così è stato, anche se in realtà poi ho “conosciuto” un’altra fetta di lettori. Ancor più con il libro Mad for Madonna, dove cambiavo totalmente genere, rivolgendomi anche a chi amava poco la lettura ma avrebbe comprato il libro solo per aggiungere un cimelio nella collezione madonnara.

Poi. C’è chi dice che molti si tengono stretto il nome per puro narcisismo. In pochi, esclusi i deficienti, credono nella scrittura come fonte di reddito o mezzo per diventare ricchi. Ecco perché nel mio precedente post parlavo di Troisi ed effetto velina. Perché il successo di Licia ha dimostrato che la fama è raggiungibile anche se non siamo attori di Hollywood, madre natura non ci ha dotato di una voce stupenda, ma siamo semplicemente “il vicino della porta accanto che diventa famoso”. Persone normalissime che hanno successo, certo, come se questa fosse la cosa più semplice del mondo, un meccanismo ovvio e oliato. Manco per sogno, ovviamente. Rimanendo nell’esempio, la Mondadori non ha più ripetuto quel successo, semplicemente perché non esiste la ricetta. E, spesso e volentieri, neppure con l’import di prodotti stranieri, che hanno venduto meno degli italiani.

Inoltre ci sono coloro che sono costretti a utilizzare uno pseudonimo perché non possono esporsi, magari per la professione che svolgono. E li capisco, spesso uno pseudonimo sarebbe servito anche a me, avrei evitato situazioni imbarazzanti. D’altronde, con gli anni, ho imparato a fregarmene. Dicerie, commenti, allusioni. E critiche feroci su internet, quella che chiamano ironia ma che spesso sfocia nell’offesa e vilipendio. Perché? Sapete, ho perso il conto delle volte che mi hanno dato per “morto” editorialmente parlando. “Fra un anno sarai scomparso”, oppure i mille complotti che stanno dietro al mio cambio di genere ed editore. La realtà è molto più semplice: ho pubblicato 9 libri, a ogni uscita i miei lettori raddoppiano, a fine anno pubblico con il più grande editore per ragazzi in Italia, Piemme. Id est.

Poi, oltre a questo c’è l’esagerazione dell’estremismo. Leggetevi questo articolo, perché è triste.