The Dentist*Reload

“E’ andata meglio dell’ultima volta, vero?”
Lo guardo di sbieco. Blatero qualcosa.
“Come?”
“Hum.”
Mascella bloccata. Pelle insensibile dall’orecchio sinistro a metà labbro. M’illumino di immenso.
“Dunque, signor Falconi, stiamo battendo un po’ la fiacca.”
La fiacca? Mi hai appena strappato due denti del giudizio. Quello inferiore è enorme. Con due radici ricurve, come nei cartoni animati. O nei film horror. Non c’è differenza.
Non plenso plopio.
“Dobbiamo fare una cura canalare al 13.”
Me lo gioco al lotto. Magari vinco.
“E quindi partire con l’impianto.”
Wao. Sono emozionato. Pronto come non mai.
“Ma ha atteso troppo, l’osso si è assottigliato.”
Inspirare. Espirare. Non promette nulla di buono. “Quindi?”
“Dental Scan.”
Non hai mai fatto un dental scan? Antico.
“Per vedere in tre dimensioni come dobbiamo intervenire. E come aggiungere dell’osso.”
Sorrido. O tento maldestramente di farlo. Perché, non so, la frase aggiungere osso mi suona proprio male. Ma tanto.
“Cioè?”
“Dunque, in genere si usa materiale sintetico. Dipende dai risultati del dental scan.”
“Altrimenti, cosa? Il mio osso?” ironizzo. Prendo la vita con piacere. Perché io amo il dentista. Dalle viscere.
“Beh, sì.”
Inorridisco. Piego le labbra ancora. Mi sta prendendo in giro. Ci sono cascato. Che cretino.
“Eh, immlagino. Maglari dal piede o dall’anca.”
Lui è serio. “In genere dall’anca.”
“Scoldatelo.”
“Oppure dall’osso dove era poggiato il dente del giudizio.”
Già il dente sul tavolino. Mi farebbe un occhiolino se solo potesse.
“Falconi, stiamo battendo la fiacca.”
Come no. Mi avanza un po’ di tibia. La conservo dai tempi del liceo. Appiccichiamola in bocca. Che ci frega.

Sei una mito

Affinità ossessive con gli oggetti. Non è scaramanzia, sia ben chiaro. Non indosso gli stessi abiti se nel giorno X per l’evento Y mi portò fortuna. Una sorta di amore ossessivo per gli oggetti pregni di ricordi. Pezzi della mia vita. Vi parlai tempo fa dei libri, ma a volte anche per oggetti più stupidi che finiscono in qualche angolo remoto dei miei cassetti e non riesco a mai a buttarli via. Come il quadernone di Estasia, se vogliamo. Beh, in quel caso feci bene a non buttarlo. Ci sono oggetti più stupidi. Persino penne o post it. Li guardo più volte, mi dico che è giunta l’ora di disfarmene. Che prendono solo polvere e occupano spazio inutile. Poi mi ricordano un momento della mia vita, e rimando.

Ovviamente, fa parte di queste affinità ossessive anche l’automobile. Come non potrebbe. Ho ricevuto la Stilo come regalo per la mia laurea nel 2002. Un bel regalo, non c’è che dire, ma mia nonna stava risparmiando da prima che prendessi il diploma allo Scientifico. Ho tenuto la Stilo per 7 anni. Non sono un appassionato di macchine, vi avverto. Conosco persone che la cambiano ogni sei mesi, conosco addirittura persone che ricorrono all’autonoleggio per affittare auto che non possono permettersi solo per apparire quello che non sono. C’è anche da dire che il traffico di Roma mi ha tolto il gusto di guidare. Prima, seconda, prima, mezz’ora per 200 metri… beh non è che sia molto piacevole.

Comunque, non è stato facile distaccarmi dalla Stilo. Troppi ricordi. Troppi viaggi. Situazioni piacevoli, altre veramente drammatiche. Impossibile raccontarle tutte.

Ma era giunto il momento di cambiare auto. Soprattutto per necessità, prima che il costo di manutenzione diventasse troppo ingente. Così ho scelto un’alfa romeo, che puntavo da qualche mese.

Una Mito. La guardo ancora di sottecchi. E’ come se sentissi la gelosia della Stilo. Come se quattro pezzi di lamiera potessero provare dei sentimenti.

Ma sì, è solo un’affinità ossessiva, alla fine.

Tornando ad argomenti meno simpatici, in riferimento all’articolo che ho scritto qualche giorno fa, continua la guerra fredda tra Cina, Usa e Google. Sono i grandi problemi del nostro mondo, si sa. Che tristezza.

Nuovo sito

Nuovo sito online, creato da Lauryn aka Laura Gargiulo.

Come potete vedere, abbiamo lasciato l’impostazione grafica del vecchio sito, con il logo e alcuni elementi grafici di Fabrizio Furchì. Il tutto sulla piattaforma di WordPress, più performante dell’ormai obsoleto Blogger.

Cosa cambia per voi? Praticamente nulla. Chi era già iscritto alla newletter continuerà  a riceverle. Chi non l’ha ancora fatto, può iscriversi dalla sezione contatti/newsletter.

Per il login: si può postare come anonimi, anonimi con avatar grazie al servizio di Gravatar, oppure con il proprio account facebook. Sulla sidebar a destra c’è il form login, ma potete loggarvi anche nel form del commento. Se qualcuno commenta il post che appare come nota di facebook, i commenti saranno riportati automaticamente anche qui.

Il sito è su lnx.francescofalconi.it, ma il vecchio sito .it farà il redirect.

Chi usa i feed: se avete quelli di feedburner non cambia nulla. Controllate che sia questo, comunque:  http://feeds.feedburner.com/FrancescoFalconi

Ultima cosa: se mi sono scordato di linkare il vostro sito nel blogroll, scrivetemelo nei commenti!

E’ tutto!

Ali spezzate

L’altro giorno leggevo un articolo sull’ennesimo suicidio nel carcere di Sulmona. Non entro adesso nel merito della questione. Non è ammissibile che esistano strutture penitenziarie che spingano i detenuti a togliersi la vita annullando qualsiasi possibilità di recupero. Altrimenti si trasforma in una forma subdola di pena di morte.

Non posso che concordare con l’affermazione: “Il 2010, evidentemente, comincia peggio di come è finito il 2009 – dice Eugenio Sarno della Uil penitenziari – quattro suicidi in 8 giorni sono la prova provata di un sistema non solo incapace di garantire diritti, dignità e civiltà al personale e ai detenuti ma persino incapace di tutelare la stessa vita umana”.

Poi succede una cosa strana. La cronaca diventa vita privata. Ricordi del passato riemergono con prepotenza.

Era il 2004, il primo anno che mi ero trasferito a Roma. Conoscevo poche persone, eccetto i colleghi del lavoro di allora. Pochi amici, tra cui un ragazzo di 27 anni, Alessandro.

Si sa, nella vita si prendono strade diverse, non sempre è possibile mantenere i rapporti con tutti. Specie in una città caotica come Roma, che spesso ti impigrisce e ti toglie la voglia di uscire di casa e andare a trovare amici che non vedi da tempo.

Era l’inverno del 2006 quando Alessandro si tolse la vita. Lo scoprii nel modo più atroce, mandandogli un SMS per sapere come stava. Il telefono mi squillò, ma mi rispose suo padre. Con una frase atroce. Secca. Che ti toglie il fiato.

“Alessandro non c’è più.”

Alessandro era caduto nel vortice di una bruttissima malattia. Inguaribile, invisibile. Una voce maligna che sussurra parole alla tua mente. Spingendoti verso l’inammissibile.

La depressione.

Si può essere depressi a 27 anni? Alessandro apparentemente aveva tutto. Salute, un lavoro che gli permetteva di vivere senza problemi. Eppure la sua mente aveva iniziato a seguire binari sbagliati. Fantasmi di persone che lo guardavano di sbieco, parlandogli alle spalle. Manie di persecuzione che lo spingevano a rifiutare la sua vita.

Finché non ha deciso di aprire la finestra. Di farla finita.

Mi sono sono sentito terribilmente in colpa. Divenni subito parte del circolo vizioso del “se”.

Cosa sarebbe successo se non avessi allentato i contatti? Se fossi stato il suo confidente? Se non si fosse sentito così solo? Se una mia parola l’avesse distratto? Se quel giorno fossimo andati a prendere un caffè?

Se avessi rinunciato al mio egoismo, alla mia pigrizia, alle piccolezze del mio quotidiano? Se avessi compreso quanto gravi potessero essere le conseguenze? Se non avessi sottovalutato la situazione? Se fossi stato più presente? Se avessi dato più affetto?

Forse niente. Forse tutto. Forse avrei rimandato l’inevitabile.

Forse.

Non mi è facile parlare di questi argomenti. Non l’ho fatto per tre anni. Così come non ho mai parlato di mio padre. Forse perché sono cosciente di non riuscire a trasformare sensazioni in parole. Forse perché ho paura di essere mal interpretato. Forse perché questo alla fine non è un diario personale, è pubblico e visibile a tutti. E mi vergogno. Mi sento in colpa. Sento che non sono pronto ad aprire certe porte. A parlare di emozioni così delicate. Di esperienze personali che alla fine sono comunque emerse, influenzando i miei libri.

Segnandomi per sempre.