Finisce l’era Dexter

Dexter è stata una delle serie TV che ho seguito con più entusiasmo negli ultimi anni. Il protagonista era semplicemente magnetico: la sua natura, così folle eppure coerente, mi aveva rapito fin dalle prime puntate. Dexter e l’Angelo Oscuro, il dramma vissuto da bambino, l’assoluta necessità di uccidere ma solo persone malvagie. Il serial killer dei serial killer, come l’hanno definito. Ed era impossibile non innamorarsi anche di Debra, la sorella, solo per il fatto che non riusciva a comporre una frase senza infilarci un “fuck”.

Poi Dexter si è un po’ sfilacciato con le stagioni successive. Forse  fino alla quarta ha retto, poi è andato calando. Era ovvio, la serie TV si basava sulla potenza di un protagonista che a lungo andare diventava ripetitivo e monotono.

L’ottava stagione, l’ultima, è stata terribile. Totalmente inutile, con una sceneggiatura pietosa. Anche il rapporto morboso con Debra, la scoperta della vera natura del fratello, alla fine si sono rivelati solo dei bluff per allungare una serie di successo. E portarla, come è accaduto con l’ultima puntata, al totale disastro.

Niente di nuovo. Ormai si deve gridare al miracolo se una serie TV, prolungata all’infinito, si conclude in modo degno. Basti pensare a Lost, ma anche a Merlin. Il primo per l’incapacità di ricongiungere tutte le fila, il secondo per una conclusione affrettata. La fine di Dexter, invece, è totalmente un no-sense. Non vi darò spoiler, promesso, ma vi dico solo che nelle scene – teoricamente – di maggiore pathos io ridevo. Perché era una sceneggiatura priva di senso. Forse lo scopo era stupire lo spettatore, tanto ormai si era giunti alla fine e non c’era nulla da perdere.

Peccato, perché Dexter, per otto lunghi anni, mi ha tenuto compagnia e mi aveva entusiasmato

American Horror Story

 

Ieri sera ho visto la puntata Pilot della nuova Serie TV American Horror Story. 

Trascorsi i primi 5 minuti, era chiaro il leitmotiv: casa infestata di fantasmi. Un cliché vecchio come il cucco. Eppure.

Ricordate Misfits? Anche quel telefilm si basa su un cliché rodato e abusato, se vogliamo: ragazzi con superpoteri. Misfits era riuscito nell’impresa di realizzare una sceneggiatura originale, ruvida e inedita.

American Horror Story segue le stesse orme, almeno così appare dal pilot. Ciò che esce dallo schermo non è tanto il fantasma psicopatico che miete vittime tra i nuovi inquilini della casa ma, dopo i primi minuti, ci accorgiamo che il vero horror non è il fantasma, ma la famiglia stessa.

Tanto per chiarirsi: AHS è una serie TV assolutamente per adulti, bollino rosso. Per i temi trattati, come l’autolesionismo, l’adulterio, lo psicodramma, il sesso. Il tutto incastrato alla perfezione, in modo credibile. Personaggi che sanno recitare, che non ci ripropongono la solita saga familiare americana né l’amore adolescenziale. C’è la scuola, ma non per mettere in luce il bello e dannato di sui si innamorerà la protagonista, ma per evidenziare il disadattamento sociale. C’è il pater familias, che vive il suo dramma di adultero affogando nelle sue debolezze. C’è una madre, incapace di superare il dolore di un aborto, che cova la sofferenza per un marito che l’ha tradita aggrappandosi alla disperata ricerca di voler tenere una famiglia unita. C’è una figlia, che si innalza nella sua solitudine e incomprensione, che cerca l’affetto di una metà che rifletta la sua stessa inquietudine.

E  ci sono ovviamente l’horror, il surreale, la tensione. Una buona fotografia e dei dialoghi che funzionano.

Ma ciò che più mi piace è la capacità di usare un tema trito e ritrito come la casa infestata e tirare fuori una sceneggiatura sopra le righe che funziona veramente. Chapeau.

Una serie da seguire con attenzione.