“La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo” è uno dei libri più belli che ho letto l’anno scorso. Pochi giorni fa ho avuto modo di vedere anche il film tratto dal romanzo, intitolato “Un amore all’improvviso”. Ecco, già il titolo mi ha fatto storcere il naso. Forse quello che gli aveva dato Niffenegger non era molto cool? Bah, non so. Anche perché di amore all’improvviso in quel libro c’è davvero poco. E’ un amore che dura una vita, al di là del tempo.
Comunque, a parte questo, nel complesso il film non è male. Si perde l’atmosfera “a doppio punto di vista” che dava un tocco di originalità al romanzo, ma alla fine il mood viene rispettato. Insomma, quando si tratta di vedere una trasposizione cinematografica mi aspetto sempre il peggio.
King. Duma Key.
Difficile descriverlo. Anzi, ancor più capire perché per dieci anni ho abbandonato King. Da piccolo leggevo ogni suo libro. Un po’ perché era di moda (IT, Misery, Cose Preziose, Shining non si potevano non leggere), ma anche perché erano effettivamente dei capolavori.
Poi un decennio di vuoto, finché non mi decido a riprenderlo in mano, convinto dalle recensioni positive che ho letto in rete.
King NON mi ha deluso. Anzi, la sua scrittura ha acquistato una freschezza che prima forse non aveva (o io non avevo percepito). Rimane il solito King-issue: la lunghezza. Il nostro Re ama distruggere intere foreste per i suoi libri e, come sempre accade, il romanzo si perde in prolissità. Non che sia noioso, lo ammetto, ma spesso parte per la tangente con interi capitoli che sono opzionali alla trama.
Il finale kinghiano. Dopo dieci anni mi pare soffra degli stessi problemi. Rapido, spiazzante, poco convincente. Nulla a che fare con la delusione di IT, ma avrei preferito che tagliasse qualche altro punto e si concentrasse sulla chiusura.
E poi, l’intrusione del narratore/protagonista che anticipa al lettore la morte di un personaggio. “Fu l’ultima volta che la vidi”. Sinceramente un passo falso che non mi sarei aspettato da King. E’ da principianti, lo dico senza mezzi termini. E andava negli anni 80.
Sospensione dell’incredulità. Uno dei punti forti di King. Ti accompagna per mano nelle pagine, ti stacca lentamente dalla realtà e ti fa vivere il suo mondo. Un mondo che pochi paragrafi prima era assolutamente reale, e pian piano ha colorato con tinte scure, sfumandolo poi nel surreale. Magnifico, direi.
Come magnifico è il suo protagonista. Edgar Freemantle. Dipinto con maestria, tridimensionale, ironico, devastato dall’incidente che gli ha strappato un braccio. Un american dream beffato dal destino. Un’ambientazione particolare e affascinante, l’isola di Duma Key, con i suoi misteri che King ci svela pagina dopo pagina. Così come la contaminazione dell’arte, che si trasfigura in tinte horror.
Insomma, una lettura che mi ha entusiasmato. Non mi resta altro che procedere con The Dome.