Depressione da Facebook

 

Tra i miei vari feed, ieri ho letto quest’articolo sulla depressione post facebook.

Allora. Inspirare, espirare. Scusate, mi sembra sempre il solito sacco pieno di cavolate. Oggi va di moda Facebook, qualcosa dobbiamo pur dire.

Ma torniamo al punto: la depressione. Terribile malattia, che non ho provato per fortuna sulla mia pelle ma di cui ho visto – purtroppo – gli effetti. Ecco, la cosa che non mi quadra è dare la colpa alla moda del momento.

Perché, come è ovvio che sia, il mondo va avanti, con esso la società e la tecnologia. Eppure la depressione è sempre esistita, così come gli individui sociopatici, coloro che hanno sempre avuto problemi a integrarsi, paura a esprimere le proprie idee e modo di essere, paura persino di parlare. Quella che chiamiamo comunemente timidezza, ma che a volte diventa così estrema da trasformarsi in un macigno tale da rendere insopportabile la solitudine. Quella che instilla la pericolosa sensazione di sentirsi sempre fuori luogo e di non sapere comunicare con gli altri.

In questo, forse internet è stato un bene. Perché ha creato il famoso alias, dando la possibilità di essere chi non siamo, nascondendosi dietro un avatar, un nick, un modo di essere fittizio. Perché un bene? Perché può essere il primo passo per sciogliere quelle catene che altrove stringerebbero fino a soffocarci. La possibilità di far capire che oltre all’estetica esiste anche la personalità, che puoi sì plasmare su internet con un gioco di cui ti stancheresti presto. E così, proprio su facebook o su altre chat, sai che hai una carta in più. Perché non sono i lineamenti del tuo volto a fare la differenza, né i chili di troppo. E’ ciò che dici, come ti poni, cosa pensi. Cosa riesci a esprimere con poche frasi.

Bene, come vedete questo punto di vista ribalta totalmente il cliché che internet allontani i rapporti umani, faciliti l’uso della pornografia, sia pericoloso e compagnia bella. E’ solo l’evoluzione della nostra società, che ci impone di seguire nuove strade. Le amicizie virtuali non sono affatto dannose. Spesso mi basta leggere ciò che scrivono e cosa pensano, non mi interessa il loro aspetto fisico.

Poi capita che il virtuale si trasformi in reale, e raramente sono rimasto deluso. Perché, in un certo senso, mi sentivo già vicino a quella persona. E, quella stessa persona, non doveva mentire. Non doveva fingere per conquistarmi. Doveva solo essere ciò che virtualmente era stato. L’onestà di un avatar che si trasforma nella concretezza di un individuo.

E se questa persona volesse sempre fingere? Se non volesse più uscire dal mondo dell’avatar? Certo, avrebbe bisogno di aiuto. Ma, da questa prospettiva, forse si sentirebbe un po’ meno sola. Forse un giorno si accenderebbe una lampadina, l’idea che è giunto il momento di provare ad essere se stessi.

E’ vero, la nostra è l’era del tutto e del subito. Non devi più andare all’edicola per avere il porno, non devi più creare gli annunci AAA per incontrare una persona per sesso, non devi più arrovellarti il cervello per conoscere chi ti interessa, non occorre scrivere una lettera e aspettare giorni o settimane prima di ricevere la risposta. E’ tutto qui, dunque? Fino a un certo punto. Perché se internet ha annullato la dimensione spaziale, è un gioco che ha vita breve e stanca presto. Poi, quello che veramente conta è il faccia a faccia. Ed è lì che possiamo vincere perché adesso abbiamo una carta in più. A discapito del nostro aspetto, abbiamo già dimostrato di valere. Sappiamo di avere già ingranato la prima marcia, e adesso possiamo combattere la nostra battaglia contro la paura di esistere.

Ripercorriamo la spirale, torniamo al punto di partenza: depressione. O, più semplicemente, problemi adolescenziali. Certo, ancora una volta i genitori hanno un ruolo fondamentale, così come dovrebbe averlo la scuola. Non mi pare però una novità, benché capisco che non si affatto un ruolo facile. Solo dopo i 18 anni, mio padre mi disse che quando avevo poco più di 15 anni mi seguiva di nascosto per scoprire quali persone frequentavo. Be’, se me l’avesse detto allora sarei andato su tutte le furie. Con il senno del poi, invece, l’ho ammirato.

Quindi, stessa cosa per internet. E’ uno strumento che si deve imparare, padroneggiare, di cui non occorre avere paura. Perché a tutto c’è sempre una soluzione. Il problema, spesso, è un altro. Si chiama menefreghismo.

2 Commenti

  1. Facebook, internet, sono dei mezzi: sono neutri, nè buoni nè cattivi dipende da chi ne fa uso e da come lo usa. Può essere un aiuto per aprirsi, per risolvere i problemi, può divenire una dipendenza.
    Il problema è molto più a monte. Certo dipende dalla persona lo stato in cui spesso si ritrova, ma c’è da tenere presente che la persona essendo qualcosa di mutevole è l’insieme d’impulsi interni ed esterni: l’ambiente in cui vive può condizionarla. Spesso si parla di persone malate, le si etichetta, le si compatisce, ma difficilmente si prova a comprendere come sono giunte nella condizione in cui si ritrovano, cosa ha causato lo stato in cui vivono. Anche una piccola azione fatta o non fatta può cambiare il modo d’essere della persona e di porsi verso il mondo. Non si pensa che qualsiasi decisione muta l’esistenza d’un individuo: certo le variabili sono tante da prendere in considerazione e se ci si lascia prendere dal pensiero c’è il rischio d’impazzire. Il fatto è che basterebbe un minimo d’accortezza in più per avere un mondo migliore e di conseguenza persone migliori. Il problema non è internet, facebook, pornografia, droga, alcolismo: quelle sono solo le conseguenza.
    Il problema come dici tu è il menefreghismo. Il problema è la società, il modo in cui decidono di vivere le persone.

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